Paola Turci – “Bambini”

Vi racconto questa cosa. Nove anni or sono mi trovo improvvisamente faccia a faccia con Paola Turci, nello spazio di circa due metri quadrati, nel retro di un teatro. C’era una tre giorni di arte, musica e teatro cui partecipavo anche io e lei era tra gli ospiti d’onore. Adesso, cosa fai se ti trovi a tu per tu con Paola Turci in uno spazio ristrettissimo e con evidenti difficoltà di movimento? Potevo stringerle la mano e chiederle un autografo, ma la pratica degli autografi mi inorridisce. Potevo proporle di farci un selfie, ma nove anni fa ancora la parola selfie era sconosciuta e per di più i selfie mi inorridiscono molto più degli autografi. Potevo semplicemente sorridere e passare oltre, però sarebbe stato brutto. Allora ho fatto l’unica cosa che in quel momento mi pareva sensata: mi sono presentato, le ho stretto la mano, le ho fatto i complimenti per la sua carriera e infine ho aggiunto che sono perdutamente innamorato di lei da più di vent’anni. Ho detto proprio così: sono perdutamente innamorato di te da più di vent’anni. Lei ha riso, poi ha detto è un onore, poi ha ringraziato e poi io sono andato via.
Al tempo stesso il momento più esaltante e la più grossa figura di merda della mia vita.
Ad ogni modo, Paola Turci è una cantautrice straordinaria, una delle voci più belle e incantevoli della storia della musica italiana. E che io sia innamorato di lei da tempo immemore, è ugualmente vero. Per la precisione, la amo perdutamente da quando, Sanremo ’89 (facevo la seconda media), vinse la categoria Emergenti con una splendida canzone intitolata “Bambini”, dedicata alla tragedia dei desaparecidos argentini.
Per quel ricordo d’adolescenza (Paola Turci, capelli legata, chitarra e voce sublime è davvero uno splendido ricordo) e per quella canzone stupenda che ancora mi emoziona, non vi ripropongo semplicemente quel pezzo, ma esattamente quella esibiizone…
Alle folgorazioni.
Alle mamme di Plaza de Mayo.