A proposito della Littizzetto

Sia qui su Facebook, sia un po’ dappertutto, nella rete e non solo, stamattina ho letto alcuni post e/o commenti molto critici sul monologo di ieri sera, a tema ‘bellezza e discriminazione’, fatto da Luciana Littizzetto sul palco di Sanremo. Lasciando stare la qualità recitativa della Littizzetto, e lasciando stare l’efficacia in sé del contenuto e della forma del monologo, la maggior parte delle critiche vertevano su come l’attrice, sostanzialmente, ‘predichi bene e razzoli male’. In due parole: è facile parlare di discriminazione ed emarginazione quando si è sotto i riflettori, facile parlare di miseria quando si percepiscono cifre astronomiche.
E’ un discorso, questo, che proprio non riesco ad accettare. Un conto è attaccare un attore, o un qualsiasi altro artista, sulle sue capacità, sulla banalità dei contenuti proposti e via dicendo. Ma questo è un discorso pretestuoso e fondamentalmente assurdo.
A parte che mi verrebbe da dire ‘ben venga che si usino platee nazional popolari per porre in primo piano temi simili’, ma non è questo il punto. Il punto è che, prima di tutto, i cachet degli artisti sono determinati principalmente da sponsorizzazioni private (non è che la presenza della Littizzetto a Sanremo la paghiamo noi con il canone, e chi pensa questo è proprio in debito totale di correttezza d’informazione); secondo, cosa più importante, un discorso simile cosa significa nella sostanza? Che a una persona, ricca o benestante, è proibito parlare o porre l’accento su problematiche legate alla miseria, alla crisi e all’emarginazione? Che solo chi vive in prima persona determinate questioni ha il diritto di parlarne? Così però, si va a negare lo stesso principio della comunicazione artistica, lo stesso fondamento dell’arte. Sarebbe come, faccio un esempio, cestinare l’intera discografia di Fabrizio De André, che in quanto ricco dalla nascita e ancor più ricco in vita, non aveva alcun diritto a parlare nelle sue canzoni degli ultimi, dei diseredati, degli affamati.

RL